Allegri(a) o allergia

Roberto Beccantini3 giugno 2013

Allegri(a) o allergia, lo sapremo presto. E’ la prima volta che Silvio Berlusconi esonera se stesso e riassume l’allenatore. Ha vinto Adriano Galliani. Massimiliano Allegri resta fino alla scadenza del contratto (2014). Un banale atto burocratico è diventato un esame di coscienza e una cena ad Arcore. Lasciamo perdere i doppi e i tripli sensi. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

La cosa buffa è il modo in cui i trombettieri parlano del nuovo «menu» dei diritti e dei doveri, che lo chef avrebbe proposto (o imposto?) al cliente. Max aveva la squadra con lui. La squadra e Galliani. Non poco. Non pochi. Ma non tutto. Barbara tramava nell’ombra. Clarence Seedorf, l’ultimo cocco del padrone, non piaceva allo spogliatoio. Ci voleva un colpo di teatrino (di teatro, sarebbe troppo). Eccolo, poco dopo mezzanotte, all’ora delle fatine e degli incantesimi.

Sarà perché invecchio, sarà perché sarà, ma ho nostalgia del comunicato con il quale, nell’estate del 1976, Giampiero Boniperti sancì l’ingaggio di Giovanni Trapattoni:

«Il signor Ugo Locatelli, responsabile del settore giovanile, lascia la Juventus Football Club per raggiunti limiti d’età. Per questo la direzione del settore giovanile verrà trasferita al signor Vycapalek, sostituito nelle funzioni di direttore dei servizi tecnici del signor Parola. Le funzioni di allenatore della prima squadra verranno affidate per la stagine 1976-77 al signor Giovanni Trapattoni».

Voto? Per me, altissimo. Un comunicato «elegante», per usare un termine di gran moda. Ligio alla consecutio, rispettoso dei ruoli, attraversato da dosi congrue di vaselina. Altri tempi. Altre supposte. Oggi, l’ultima cena è sempre la penultima. E il povero James Pallotta alla finestra? Arrivederci Roma, tanto per cambiare.

Quando decide il migliore

Roberto Beccantini26 maggio 2013

Quando vince la squadra più meritevole, e quando risolve il migliore in campo, giù il cappello. La Lazio e Lulic hanno strappato alla Roma la Coppa Italia e l’ultimo spiffero di Europa League. Certo, Lobont avrebbe dovuto opporsi con minor negligenza al cross di Candreva, ma Senad Lulic, bosniaco, 27 anni, era già in fuga.

Se la finale di Wembley è stata croccante, la «bella» dell’Olimpico è stata greve, modesta. Confesso che mi sono annoiato. Mi ha avvinto la quantità dell’equilibrio, non la qualità del gioco. La Lazio di mastro Petkovic è stata dentro la partita più della Roma, invano richiamata da Andreazzoli a un ordine che non fosse solo attesa e a un cuore che non fosse solo isteria. Da una parte, un attaccante di ruolo: Klose. Dall’altra, tre all’inizio (Totti, Lamela, Destro) e quattro alla fine (con Osvaldo). Non sempre, nel calcio, le addizioni diventano somme.

Mi è piaciuto Orsato. Di solito, dirige all’inglese. Questa volta, ha capovolto il metro. Quarantacinque secondi, e giallo a Ledesma. Chiaro e forte, il messaggio: ragazzi, fate i bravi. C’è chi non l’ha fatto, peggio per lui: quattro ammoniti per parte, più il rosso al panchinaro Tachtsidis. Tra le minacce telefoniche ad alcuni giocatori della Lazio e le asce rinvenute nei paraggi dello stadio, serviva un padrone, non un padre: Orsato lo è stato.

Mi hanno deluso i leader: De Rossi, Hernanes, lo stesso Klose. Totti è stato l’ultimo ad arrendersi, come documenta la traversa. E’ stato un via-vai di gregari, con Marchetti più sicuro di Lobont e la coppia Lulic-Candreva al di là delle tensioni.

Vincendo, la Roma avrebbe recuperato un pezzo d’Europa e staccato la Juventus, dieci coppe a nove. Non ci ha creduto, non l’è bastato per scuotersi. Fatti suoi. Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli: che fiasco, il progetto americano.

R & R, nel male e nel bene

Roberto Beccantini25 maggio 2013

E’ stata una finale divertente, soprattutto in rapporto alle tensioni che sempre i derby d’Europa stipano nei bauli. Per un’ora, meglio il Borussia. Poi, più Bayern. Bravo Neuer all’inizio; bravissimo Weidenfeller fino alla fine. Klopp ha confermato di essere un signor allenatore; Heynckes ha ribadito come e quanto le strade degli uomini siano a volte pià infinite di quelle del Padreterno. Ha riportato Bundesliga e Champions in Baviera, eppure dovrà togliere il disturbo. Auguri a Guardiola e al suo tiki-taka.

Scritto che, in occasione del rigore, il buonista Rizzoli avrebbe dovuto ammonire Dante (e, dunque, espellerlo per cumulo), e ribadito quanto l’assenza di Goetze sia stata cruciale, credo che la chiave siano stati – nel male e nel bene – i due esterni, Frank Ribéry e Arjen Robben. Nel male del primo tempo (Ribéry, un’ombra; Robben, due spari sul portiere), e nel bene del secondo: azione Ribéry-Robben a monte dell’1-1 di Mandzukic; trama rugbistica Ribéry-Robben per la «meta» del romanzesco 2-1.

Il francese, 30 anni, e l’olandese, 29, sono le «ali» del 4-2-3-1 che tanto piace a Conte. Sono campioni, non fuoriclasse, spesso scortati dall’etichetta di perdenti di successo. Naturalmente, non vivono più, come i loro antenati, incollati alla linea laterale. La loro posizione, sui gol, spiega geograficamente l’evoluzione del ruolo. Sono «ali» che debbono fare i terzini, come Eto’o nell’Inter del Triplete. Non terzini e/o centrocampisti come Lichtsteiner e Asamoah che, nel 3-5-2 juventino, debbono fare gli esterni d’attacco. Non è la stessa cosa.

Robben ha un piede solo, il sinistro. Anche per questo, ha graziato Weindenfeller e, soprattutto, Iker Casillas nella finale dei Mondiali 2010. Non è il massimo ma a Wembley, per una sera, lo è stato.